Cosa si intende per “principio della bigenitorialità” in ambito europeo?
Il principio di bigenitorialità, come inteso largamente dalla giurisprudenza nazionale, esprime
- l’esigenza di garantire ai figli minori la presenza comune dei genitori nelle loro vite, tale da assicurare loro una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi
- nonché il dovere dei genitori medesimi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione.
L’osservanza di tale principio viene, generalmente, garantita con un regime di affidamento condiviso del minore nel caso di fine dell’unione coniugale o familiare, purché, ovviamente, tale soluzione risponda al supremo interesse del minore e non sia, invece, pregiudizievole per il suo benessere psico-fisico.
Il concetto di “bigenitorialità” si rinviene anche in ambito europeo, espresso nei seguenti principi:
- in tutti gli atti relativi ai minori, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente (art. 24, punto 2, della Carta dei diritti fondamentali);
- il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse (art. 24, punto 2, della Carta dei diritti fondamentali);
- nessuna autorità pubblica può impedire l’esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare, salvo che la limitazione sia prevista dalla legge e per esigenze legate, tra gli altri, all’ordine pubblico, salute o libertà altrui (art. 7 Carta dei diritti fondamentali ed art.8 CEDU).
Per la Corte di Giustizia, quindi, il diritto alle relazioni familiari si sostanzia nell’esigenza di contemperare gli interessi coinvolti del minore, dei genitori e dell’ordine pubblico, perseguendo sempre, in via prioritaria, il supremo interesse del minore a mantenere rapporti personali stabili con entrambi i propri genitori, anche in caso di crisi coniugale degli stessi.
In tal senso, gli interessi del minore da preservare, secondo la Corte di Giustizia Europea, sono sostanzialmente due: mantenere i legami con la sua famiglia, salvo la prova che tali legami siano indesiderabili, e poter crescere e svilupparsi in un ambiente sano.
Il richiamo alla CEDU ed alla giurisprudenza comunitaria nella nostra esperienza nazionale
Con una recente pronuncia (sentenza n.28723/2020) la Cassazione, nel dirimere una controversia tra madre e padre per l’affidamento di un figlio, ha fatto propri gli orientamenti espressi dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in riferimento all’art. 8 della CEDU.
In particolare, la Suprema Corte ha accolto le seguenti considerazioni espresse dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di diritto al rispetto della vita familiare (ex art.8 CEDU):
- le autorità giudiziarie nazionali hanno ampia libertà in materia di diritto di affidamento di un figlio di età minore, ma è necessario un rigoroso controllo sulle restrizioni ulteriori al diritto di visita dei genitori e sulle garanzie giuridiche previste per assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU;
- per un genitore e suo figlio stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare;
- le misure interne che impediscono il diritto di visita costituiscono un’ingerenza nel diritto protetto dall’art. 8 della Convenzione;
- le autorità giudiziarie nazionali devono adottare misure preparatorie, non automatiche e stereotipate, in modo da consentire visite e contatti tra il minore ed i propri genitori attraverso misure da attuare rapidamente, perché il trascorrere del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo ed il genitore che non vive con lui.
Nell’accogliere tali principi, i giudici hanno precisato che “tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e sana”.
In sostanza, ostacolare il diritto di visita dell’altro genitore, impedendo che il figlio coltivi la relazione con il genitore non collocatario, può assumere rilevanza ai fini di una valutazione della idoneità genitoriale: tale assunto è stato espresso in relazione ad una madre che impediva la frequentazione del figlio con il padre, non collocatario.
La Suprema Corte ha, altresì, chiarito, richiamando un proprio precedente (Cass. n. 18817/2015), che il Giudice, chiamato a pronunciarsi sull’affidamento dei figli minori, è tenuto a “prevedere” le capacità dei genitori di crescere ed educare i figli in base ad elementi concreti, quali il modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, le rispettive capacità di relazione affettiva, nonché la personalità del genitore, le sue consuetudini di vita e l'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore.
Conclusioni
L’ordinanza n. 28723/2020 emessa dalla Corte di Cassazione ribadisce, ancora una volta, la preminenza del principio della bigenitorialità e l’esigenza di garantirlo, in presenza della fine dell’unione tra due genitori, nel supremo interesse dei figli minori.
Tale importanza è sancita anche mediante il richiamo a norme comunitarie ed orientamenti espressi in materia dalla Corte di Giustizia Europea, con l’intento di rimarcare l’assolutezza di tale principio, unitariamente condiviso anche nel panorama europeo.
Ciò che preme sottolineare è che la Corte di legittimità pone tra i requisiti di idoneità genitoriale la stessa capacità del genitore (collocatario) di garantire al figlio la continuità del rapporto parentale con l’altro: impedire al figlio di vedere e frequentare l’altro genitore può fortemente incidere sulla responsabilità genitoriale in termini di possibile decadenza dalla stessa.
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