Tra i provvedimenti principali che il Giudice adotta all’esito di un giudizio di separazione o divorzio vi è la statuizione relativa all’assegnazione della casa coniugale o familiare ad uno dei due coniugi.
Cosa si intende per casa familiare o coniugale? Qual è la funzione dell’assegnazione?
La casa familiare o coniugale è il luogo dove la coppia, assieme ad eventuali figli, conduce la propria vita quotidiana; è comunemente intesa come il “luogo degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime la vita familiare e si svolge la continuità delle relazioni domestiche (…)” (Cass. n. 3302/2018).
Proprio per il valore che essa riveste, il legislatore ha previsto una specifica norma a regolamentazione e tutela di tale importante luogo di crescita e sviluppo del nucleo familiare, in caso di crisi dello stesso.
L’art. 337 sexies c.c. dispone, infatti, che: “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”.
Quindi il provvedimento di assegnazione risponde all’interesse supremo della prole di permanere nell’habitat domestico, presupponendo contestualmente sia la permanenza del legame ambientale sia la ricorrenza del rapporto di filiazione legittima o naturale cui accede la responsabilità genitoriale.
L’assegnazione prescinde da chi sia l’effettivo titolare del diritto di proprietà sull’immobile: essa risponde esclusivamente all’esigenza di evitare ai figli il trauma di allontanarsi dal luogo in cui sono cresciuti ed hanno vissuto fino a quel momento, oltre a quello già difficile della separazione dei propri genitori.
Quali sono i presupposti per l’assegnazione della casa familiare o coniugale?
Stante la funzione assolta dal provvedimento di assegnazione, risulta chiaro che la casa coniugale viene attribuita al genitore collocatario dei figli, ovvero a quello che vi conviva in via prevalente.
I figli, in tal senso, devono essere, oltre che conviventi con il genitore collocatario, minori di età od anche maggiorenni, purché non economicamente autosufficienti.
In ogni caso, “dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i coniugi, considerato l’eventuale titolo di proprietà” (art. 337 sexies c.c.).
Il codice civile, tuttavia, nulla dispone in caso di separazione di una coppia che non abbia figli: nel silenzio della legge deve ritenersi che la casa coniugale spetti al coniuge che vanti su di essa il diritto di proprietà, salvo casi eccezionali che vi derogano.
L’assegnatario della casa coniugale, ancorché privo di un diritto reale sul bene immobile, diviene titolare di un diritto di godimento sullo stesso; diritto di godimento che, sebbene non giustifichi il pagamento di un corrispettivo all’altro coniuge (a titolo di canone di locazione), in ogni caso non lo esonera dal pagamento delle spese correlate all’uso (es. utenze e spese condominiali).
Quando viene meno l’assegnazione della casa coniugale o familiare?
In ragione dei presupposti sopra individuati e stando alla previsione dell’art. 337 sexies c.c., il provvedimento di assegnazione può essere revocato quando:
- i figli maggiorenni raggiungono l’indipendenza economica;
- l’assegnatario non abiti o cessi di abitare nella casa coniugale stabilmente (o cessino di abitarvi i figli maggiorenni precedentemente collocati presso lo stesso);
- l’assegnatario conviva stabilmente con altra persona o contragga nuove nozze.
In tal senso, la nuova convivenza o le nuove nozze o, ancora, la cessazione della coabitazione fanno venir meno quella continuità, quell’insieme di consuetudini, che la legge intende garantire nell’interesse della prole.
Qualora un figlio non conviva con il genitore per frequentare l’università in altra città, tale circostanza non comporta di per sé la revoca dell’assegnazione.
Infatti, la Corte di Cassazione ha in più occasioni chiarito che in questi casi è necessario che permanga il collegamento stabile con l’abitazione del genitore: la convivenza può “non essere quotidiana, essendo tale concetto compatibile con l’assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché egli vi faccia ritorno regolarmente appena possibile” (Cass. n. 14241/2017).
La cessazione della convivenza da parte dei figli con il genitore collocatario, affinché assuma rilievo ai fini dell’assegnazione della casa coniugale, deve essere definitiva ed irreversibile.
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Avv. Alfredo Di Sanza
Avv. Francesca Cipolloni